Nullità delle fideiussioni conformi allo schema ABI: profili di inammissibilità dell’eccezione e linee guida sull’onere della prova gravante sull’attore

Con la recente Sentenza n. 1966 del 23.07.2020, la Corte d’Appello di Milano torna a pronunciarsi – questa volta, incidentalmente – sull’ormai annosa questione della nullità delle fideiussioni conformi al cd. “schema ABI”, stabilendo, in primo luogo, che la predetta eccezione, in primo luogo, non può essere rilevata d’ufficio ed è inammissibile quando non formulata in primo grado o in atto di appello nonché, in secondo luogo, che la medesima può essere validamente sostenuta soltanto da allegazioni e prove a cura della parte attrice/appellante.

La Corte meneghina, infatti, chiamata a decidere sull’eccezione di nullità formulata dall’appellante in occasione della prima udienza tenutasi nel procedimento di impugnazione, poi, reiterata dalla parte all’atto della precisazione delle conclusioni e negli scritti difensivi, ha avuto modo di affermare che “detta difesa presenta un’evidente inammissibilità, siccome non precedentemente articolata in primo grado ed in atto di appello. Parimenti essa non può comportare una positiva delibazione dell’asserita nullità delle fideiussioni di cui si discute […] in esito ad impulso officioso della Corte e ciò a cagione delle carenze di allegazioni e prova ascrivibili alla difesa di parte appellante”.

Nell’entrare nel merito degli oneri probatori connessi all’eccezione di nullità, infatti, i Giudici milanesi hanno affermato che, “se anche una intesa vietata può essere dannosa anche per un soggetto, consumatore o imprenditore che vi abbia preso parte (Cass. Civ. Sez. Unite, n. 2207/2005), purtuttavia, perché gli si possa riconosce un interesse ad invocare la tutela di cui all’art. 33, comma 2, L. n. 287/1990, non è sufficiente che egli alleghi la nullità della intesa medesima, ma occorre che precisi la conseguenza che tale vizio ha prodotto sul proprio diritto a una scelta effettiva tra una pluralità di prodotti concorrenti” non mandando dal precisare, che “anche a voler ritenere la nullità delle clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema uniforme ABI sanzionate dall’autorità competente (allora la Banca d’Italia) con provvedimento n. 55 del 2.5.2005, occorrerebbe pur sempre l’allegazione e la prova o del fatto che almeno una di tali clausole ha trovato applicazione nella fattispecie, con conseguente produzione di danni art. 2043 (nella fattispecie in esame neppure allegati e men che meno provati) o del fatto che le parti, conoscendo la nullità di tali clausole, non avrebbero concluso il contratto (il che non può certo ritenersi ragionevole per gli opponenti, attuali appellanti, ma semmai soltanto per l’istituto di credito che tuttavia nulla ha eccepito al riguardo”.

Ferma l’interessante novità in merito alla tempestività ed alla, conseguente, valutazione in punto di ammissibilità dell’eccezione di nullità, la pronuncia in commento appare allinearsi, sotto il profilo dell’esame di merito dell’eccezione medesima, a quel filone giurisprudenziale elaborato dalle Corti meneghine, che ha posto, giustamente, l’attenzione sull’onere probatorio gravante sulla parte che chiede l’accertamento della nullità delle fideiussioni conformi al cd. “schema ABI”.

Invero, già con la Sentenza n. 7796 del 23.06.2016, il Tribunale di Milano – Sezione Specializzata in materia di impresa ha efficacemente stabilito che “il solo fatto che una banca […] abbia proposto alla cliente un contratto contente dette clausole non può ritenersi di per sé stesso elemento sufficiente a dare effettivo conto, sia pure in termini indiziari, della sussistenza di un’intesa rilevante nella sua estensione e pervasività sul piano antitrust”, mettendo in evidenza, anche in quel caso, come parte attrice non avesse nemmeno tentato di “provare che detto schema negoziale era di fatto adottato da un numero significativo di istituti di credito – in maniera tale cioè da dare conto quantomeno del fondamento di base della contestazione, e cioè quell’uniformità di proposta al pubblico di tale schema negoziale – mentre, al contrario, le prescrizioni impartite dalla Banca d’Italia all’ABI con il provvedimento richiamato dovrebbero costituire una presunzione del tutto contrari alle affermazioni di parte opponente”.

Val la pena ricordare, inoltre, che l’appena citata Sentenza n. 7796 del 23.06.2016, ha trovato conferma anche in sede di appello nella Sentenza n. 5039 del 20.11.2018, nella quale si legge che la Corte d’Appello di Milano – Sezione Specializzata in materia di impresa ha ritenuto “pienamente condivisibile la motivazione del Tribunale: l’onere della prova circa l’esistenza di una intesa anticoncorrenziale, costituente l’indefettibile presupposto della richiesta di nullità della fideiussione ex artt. 2 l. 287/1990 e 1419/1 cc, grava sull’attore opponente” confermando la corretta e condivisibile lettura del Tribunale di primo grado, della sentenza della Corte di legittimità (n. 11564/2015) in punto distribuzione dell’onere probatorio.

La Corte d’Appello di Milano, infatti, afferma che ”Se è pur vero che con quella sentenza (emessa in un caso “stand alone” come quello in esame, e sulla distribuzione dell’onere della prova, come nel caso in esame, sia pure riferito, in quella sentenza, al caso di abuso dominante di cui all’art. 3 della l. 287/1990) la Corte di legittimità ha evidenziato, in casi di asinmetria informativa, il dovere del giudice di valorizzare in modo opportuno gli strumenti di indagine e conoscenza che le norme processuali già prevedono (..) al fine di esercitare, anche officiosamente, quei poteri d’indagine (..) utili per ricostruire la fattispecie anticoncorrenziale denunciata, è però vero che la Corte di legittimità ha ulteriormente precisato e sottolineato che tale dovere del giudice sussiste solo laddove l’attore abbia previamente indicato in modo sufficientemente plausibile seri indizi dimostrativi della fattispecie denunciata come idonea ad alterare la libertà di concorrenza”, statuendo, poi, in sede di conclusioni, che “in assenza di una indicazione – da parte dell’attore/appellante […] – sufficientemente plausibile di seri indizi dimostrativi della fattispecie denunciata come idonea ad alterare la libertà di concorrenza, la domanda di nullità della fideiussione omnibus ex art. 1419/1 cc (e/o delle clausole, come già detto, di natura derogabile) non poteva essere accolta, come già ritenuto dal Tribunale”.

Avv. Filippo Angonese
filippo.angonese@acm-legal.com
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