Interessi moratori e disciplina antiusura: si pronunciano le Sezioni Unite

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione tornano a pronunciarsi in una delle più dibattute questioni di diritto bancario: l’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori.
Con la recente Sentenza n. 19597 del 18.09.2020, infatti, i Giudici di Piazza Cavour, nel dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto, hanno affermato il seguente principio di diritto:

“La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso”.


Dalla lettura della pronuncia in commento emerge che le Sezioni Unite della Suprema Corte, dopo aver ricostruito le contrapposte tesi giurisprudenziali, hanno avuto modo di spiegare che la loro decisione non è stata guidata né dall’argomento letterale, né dall’argomento storico, bensì da quella che è la ratio del divieto di usura e delle finalità che allo stesso sono ricondotte.
Nello specifico, i Giudici della Suprema Corte “pur riconoscendo […] che il dato letterale ed i diversi argomenti [storici] si equivalgano tra loro quanto a persuasività e (non) definitività” hanno ritenuto che “il concetto di tasso usurario e la relativa disciplina repressiva non possano che dirsi estranei all’interesse moratorio, affinché il debitore abbia una più compiuta tutela”, non lasciando quest’ultimo alla “mercé del finanziatore”.


Chiarito, dunque, l’approccio logico-sistematico adottato dagli ermellini nella redazione della pronuncia in commento, val la pena evidenziare che l’enunciazione del principio di diritto su riportato, ha imposto ai Giudici di legittimità il dipanamento di tutta una serie di questioni a corollario relative alle modalità concrete di verifica del rispetto del tasso soglia da parte degli interessi moratori e alle conseguenze in caso di sforamento.


Vediamole nel dettaglio.

  1. “La mancata indicazione, nell’ambito del T.e.g.m., degli interessi di mora mediamente applicati non preclude l’applicazione dei decreti ministeriale de quibus, ove essi ne contengano la rilevazione statistica”. In buona sostanza, i Giudici delle Sezioni Unite affermano che, se è vero che i decreti ministeriali rilevano il tasso soglia in relazione agli interessi corrispettivi, è altrettanto vero che gli stessi decreti ministeriali consentono di individuare in modo analogamente oggettivo e non discrezionale l’interesse usurario per quelli moratori sulla scorta della rilevazione media, eseguita da Banca d’Italia, dell’incremento applicato sul mercato per gli interessi moratori. Un dato, dunque, che, seppure rilevato a livello statistico – quello della Banca d’Italia –, è “obiettivo” e, pertanto, può costituire l’utile indicazione oggettiva per determinare la soglia rilevante, anche se relativa ad un lasso temporale diverso dal trimestre e non sempre aggiornato a quello precedente, dal momento che lo scopo è quello di garantire che non vi siano interessi “fuori mercato”, distanti dalle medie pattuite. Da qui la formula: “t.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal decreto”.
  2. “Se i decreti non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato”. Ben consapevoli che la rilevazione degli interessi moratori nei decreti ministeriali è stata effettuata a partire dal 2003 i Giudici di legittimità hanno avuto modo di prevedere che, per il periodo antecedente al 2003, il termine di confronto per la verifica dell’usurarietà degli interessi moratori non può che essere costituito dal t.e.g.m. così come rilevato tempo per tempo.
  3. “Si applica l’art. 1815, comma 2, cod. civ., ma in una lettura interpretativa che preservi il prezzo del denaro. Resta, quindi, la residua debenza di interessi dopo la risoluzione per inadempimento del contratto di finanziamento”. In altri termini, ove l’interesse corrispettivo sia lecito e solo gli interessi moratori abbiano superato la soglia usura, esclusivamente questi ultimi sono illeciti e vietati. Resta, pertanto, fermo quanto previsto ex art. 1224, comma 1, c.c., con la conseguente applicazione degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti. Diversamente – considerano i giudici di legittimità – si finirebbe per premiare il debitore inadempiente, rispetto a colui che invece adempia ai suoi obblighi con puntualità.
  4. Anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell’accordo; una volta verificatosi l’inadempimento ed il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all’interesse in concreto applicato dopo l’inadempimento.
  5. Nei contratti conclusi con un consumatore, concorre la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f e 36, comma 1, del codice del consumo, di cui al d.lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.c.
  6. “Il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli interessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del t.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento. Dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto”.

In conclusione, la pronuncia in commento appare apprezzabile: in primo luogo, perché ha il merito di ribadire – forse, in questo caso, in maniera definitiva – la diversità di causa e funzione degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, nonché, in secondo luogo, perché collocandosi nel solco già tracciato dalla Sentenza n. 24675 del 19.10.2017 (attinente all’irrilevanza della c.d. “usura sopravvenuta”) e dalla Sentenza n. 16303 del 20.06.2018 (attinente alla rilevanza delle commissioni di massimo scoperto agli effetti del superamento del tasso soglia usura) – anch’esse rese dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione –, è destinata a portare ad una concreta riduzione delle cause o quanto meno all’abbandono di tesi, che traevano la loro forza proprio dai contrasti esistenti in giurisprudenza.


Avv. Filippo Angonese
filippo.angonese@acm-legal.com
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